L'anima di Ilsie n° 28
Le donne e il romanzo
Nel mese di Dicembre mi è capitato di leggere Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf per un esame: è stata una delle letture più illuminanti che io abbia mai fatto nella mia vita. Primo libro della Woolf che leggevo, nonostante abbia avuto molti stimoli a farlo durante l'adolescenza - è l'autrice preferita di mia madre, quindi lo stimolo veniva davvero da molto vicino - non mi ero mai sentita pronta ad affrontarla, non mi sentivo ancora all'altezza. Per fortuna c'è l'università, perché forse mi sarei persa questa autrice ancora per molti anni e sarebbe stata da parte mia una grandissima mancanza. In breve, si tratta di un saggio che la Woolf scrive nel 1928 - e successivamente rielabora - in occasione di due conferenze che viene chiamata a fare nei collegi femminili di Newnham e Girton. Apparentemente la traccia che le viene data è semplice, "le donne e il romanzo". Ma a partire da questo la Woolf inizia una riflessione storica e anche molto personale sulle possibilità che le donne hanno avuto nell'accesso alla letteratura e più genericamente all'educazione.
Lasciatemi dire che l'ironia di Virginia Woolf mi ha conquistata, l'ho trovata oltre ogni giudizio di genialità. E' disarmante e non lascia spazio a repliche, tanto è carica di intelligenza. In ogni caso, uno degli aspetti che la Woolf mette in luce nel suo saggio è il fatto che uomini e donne sono diversi e così devono essere concepiti. Se le donne vogliono fare letteratura non dovranno mai seguire il solco e la tradizione degli uomini, altrimenti risulterebbero soltanto goffe. Tutto ciò che devono fare è trovare la loro strada, il loro linguaggio, il loro modo peculiare di fare letteratura. E questo fatto è pura ricchezza, non una mancanza delle donne.
Dopo aver letto questo saggio sento che la lotta di quelle prime autrici non è qualcosa di esterno a me. Che io continuo, o comunque ho la possibilità, di continuare il loro percorso, di decidere di andare avanti su questa strada. Invito tutti quanti a leggere questo saggio, qui ho appena sondato la punta dell'iceberg e c'è molto altro di cui la Woolf parla da scoprire. Voglio lasciarvi però con una citazione, tratta proprio dal finale dell'opera, nella speranza di incuriosirvi e farvi venire voglia di scoprire come si arriva ad una tale conclusione:
Ora, è mia ferma convinzione che questa poetessa che non scrisse mai una parola e fu seppellita nei pressi di un incrocio, è ancora viva. Vive in noi, e in me, e in molte altre donne che non sono qui stasera perché stanno lavando i piatti e mettendo a letto i bambini. Eppure lei è viva. Perché i grandi poeti non muoiono; essi sono presenze che rimangono; hanno bisogno di un'opportunità per tornare in mezzo a noi in carne e ossa. E offrirle questa opportunità, a me sembra, comincia a dipendere da voi. Poiché io credo che se vivremo ancora un altro secolo - e mi riferisco qui alla vita comune, che è poi la vita vera e non alle piccole vite isolate che viviamo come individui - e se riusciremo, ciascuna di noi, ad avere cinquecento sterline l'anno e una stanza tutta per sé; se prenderemo l'abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; [...] se guarderemo in faccia il fatto - perché è un fatto - che non c'è neanche un braccio al quale appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole [...] allora si presenterà l'opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, riprenderà quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare. [...] Ma io sono convinta che lei verrà, se lavoreremo per lei, e che lavorare così, anche se in povertà e nell'oscurità, vale certamente la pena.
Ora, è mia ferma convinzione che questa poetessa che non scrisse mai una parola e fu seppellita nei pressi di un incrocio, è ancora viva. Vive in noi, e in me, e in molte altre donne che non sono qui stasera perché stanno lavando i piatti e mettendo a letto i bambini. Eppure lei è viva. Perché i grandi poeti non muoiono; essi sono presenze che rimangono; hanno bisogno di un'opportunità per tornare in mezzo a noi in carne e ossa. E offrirle questa opportunità, a me sembra, comincia a dipendere da voi. Poiché io credo che se vivremo ancora un altro secolo - e mi riferisco qui alla vita comune, che è poi la vita vera e non alle piccole vite isolate che viviamo come individui - e se riusciremo, ciascuna di noi, ad avere cinquecento sterline l'anno e una stanza tutta per sé; se prenderemo l'abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; [...] se guarderemo in faccia il fatto - perché è un fatto - che non c'è neanche un braccio al quale appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole [...] allora si presenterà l'opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, riprenderà quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare. [...] Ma io sono convinta che lei verrà, se lavoreremo per lei, e che lavorare così, anche se in povertà e nell'oscurità, vale certamente la pena.
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