Perché leggere i classici

Anna Karenina di Lev Tolstoj, ovvero il dolore di andare contro il mondo

(Anna Karenina)

Prima di iniziare con la recensione, come di dovere riporto qui i risultati del sondaggio che ha stabilito il classico di questo mese. Voi avete scelto ed io vi accontento molto volentieri. Ecco quali sono state le vostre preferenze, un grazie immenso a tutti per aver votato: 
  • Goethe: 2 voti; 
  • Stendhal: 2 voti; 
  • Wilde: 1 voto; 
  • Tolstoj: 4 voti; 
  • Màrquez: 2 voti. 
E dopo questa fulminea introduzione iniziamo.

Non so quanti di voi mi seguano da tanto tempo, ma nel maggio del 2015 scrissi L'anima di Ilsie n° 5, ovvero un post dove vi elencavo e spiegavo brevemente i miei tre libri preferiti in assoluto: Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcìa Màrquez, Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron ed infine proprio Anna Karenina di Lev Tolstoj. Credo che quel post sia stato il vero punto di partenza del mio blog, il primo che mi ha dato grosse soddisfazioni e feedeback, il primo che mi ha fatto capire che ero in ballo e stavo costruendo qualcosa di personale  e molto importante. Se qualcuno di voi non ha mai letto quel post, lo invito a recuperarlo per capire di ciò che sto parlando. Comunque oggi quello che voglio fare si configura come una specie di esperimento. Voglio riprendere le righe che scrissi all'epoca per Anna Karenina e provare ad approfondire il discorso partendo da quella mia primissima riflessione. Vediamo quello che avevo scritto l'anno scorso:

Anna Karenina di Lev Tolstoj: qui il discorso si fa serio. Parliamo di uno di quei libri dai quali bisogna riprendersi. Quando l'ho letto, ero tra la quarta e la quinta superiore, non ricordo con precisione. E l'ho trovato magnifico, potente, passionale, travolgente. Un mattone che avrei voluto senza fine. In particolare, in questo libro ho trovato la più bella entrata in scena che un protagonista potesse fare: il punto in cui Vronskij incontra Anna - e anche i lettori la vedono per la prima volta - è scritto in modo lieve, soffice come un'apparizione, veloce e assolutamente magistrale. E' riuscito a rallentare e a descrivere perfettamente l'attimo di uno sguardo e un sorriso. E' stato qualcosa che non avevo mai visto prima. Inoltre le parole per descrivere la storia si sprecano: bisogna leggerla. Punto. Anna è l'amore, la passione, il dolore, le scelte difficili e una madre. Levin è il tormento interiore e la ricerca del senso della vita. Kitty è la dolcezza. Vronskij è la consapevolezza della strada intrapresa. Si apre un mondo intorno a loro di eventi, personaggi, destini che in pochi altri libri ho potuto ritrovare così vivo e potente. E andare contro il mondo porta sempre con sé delle conseguenze.

Innanzitutto l'entrata in scena di Anna. In nessun altro libro, di nessun tipo, ho assistito ad una scena tanto perfetta. Una donna che scende dal treno ed incrocia un uomo. Loro si lanciano una breve occhiata, senza fermarsi, lei sorride e poi si gira a cercare qualcuno tra la folla. Tolstoj riesce a racchiudere tutta la storia, tutto quello che sarà da quel punto in poi in un semplice scambio di sguardi. Ho riconosciuto Anna prima ancora che lei si presentasse, tanta era la forza della sua presenza sulla pagina. Da quel momento in poi avete solo l'imbarazzo della scelta sulla meraviglia delle trame da seguire. Ma procediamo con ordine.

Anna è una donna sposata, con una buona posizione sociale, madre di un bambino che ama in maniera viscerale. Tutto precipita quando incontra Vronskij, bello, giovane, pieno di passione per lei. E da quel momento in poi la vera lotta è sia nella buona società russa, dove lo scandalo è in agguato, dove lei non può manifestare quello che sente veramente e dove il marito la costringe ad una vita che le è odiosa, sia dentro se stessa: Anna dovrà fare la più difficile delle scelte che una donna può sostenere, quella tra l'amore per l'uomo della sua vita e l'amore verso il figlio. Una scelta impossibile da compiere senza rinunciare ad una parte fondamentale di sé. Ricordo chiaramente di essermi sentita anche io a pezzi, scomposta, senza pace, esattamente come Anna. Il suo dramma mi era entrato dentro come se fosse mio da sempre e senza possibilità di risoluzione, perché Anna è purtroppo "sbagliata" per l'epoca in cui vive e quello che chiede è inammissibile. Quello che lei sceglierà di fare sta a voi scoprirlo.

Il co-protagonista di Anna, che con lei ha in realtà molto poco a che fare, è Levin, la voce di Tolstoj all'interno della storia, la parte di riflessione filosofica sulla vita umana. Il tormento di Levin è esistenziale, è sul senso del suo esistere, del suo essere quell'uomo in quel mondo. Le parti di narrazione che trattano di Levin sono prima molto romaniche, poi si fanno strettamente personali e riflessive. So che possono rischiare di annoiare, ma vi consiglio di leggerle attentamente: sono la parte eterna e preziosa del romanzo, quelle che danno alla storia un respiro così ampio da renderla universale. La cassa di risonanza di tutto il libro è il cuore e lo spirito umano in tutta la sua sofferenza e la sua gioia, nella pienezza della vita. L'ambientazione è la splendida e contraddittoria Russia nella seconda metà dell'Ottocento, la Russia sia delle grandi città - Mosca e San Pietroburgo - che la sterminata campagna dei ricchi possidenti e dei loro servitori. Niente va sprecato di questo romanzo. Mi rendo conto ora che recensire degnamente questo libro è impossibile. Anna ha profondamente influenzato la mia consapevolezza dell'essere donna, credo che parte della percezione che ho di me oggi sia stata filtrata tramite lei. Non a caso ci ho messo due settimane a riprendermi dalla lettura di questo romanzo. Che altro potrei dire che farvi capire il livello di questo libro? Tutto ci arricchisce e ci mostra quello che davvero interessa all'essere umano, che sia oppresso nel cuore o nell'animo: la felicità.

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