Recensione di Giugno

 Babel: una storia arcana di Rebecca F. Kuang, ovvero cosa può un singolo individuo contro un Impero

(Babel or the Necessity of Violence)

"Ogni atto di traduzione è un atto di tradimento", si legge sul taglio delle pagine dell'edizione italiana. Uno dei grandi temi di questo romanzo, si annuncia subito: l'impossibilità della traduzione perfetta, del poter rendere in maniera identica ciò che una lingua esprime in un'altra. Siamo all'interno dell'Università di Oxford, nel cuore pulsante dell'Impero Britannico del 1836. Al Royal Institute of Translation, studiosi inglesi - ma anche provenienti da altre parti dell'Impero e da tutto il mondo - studiano combinazioni di parole in lingue diverse che possano essere incise nell'argento e sprigionare incantesimi dal proprio significato. Queste tavolette d'argento servono a fortificare il primato della Gran Bretagna nel mondo, a rafforzare il suo esercito, ad arricchire i suoi potenti, a permetterle di essere sempre la maggiore potenza del mondo e ad appropriarsi di sempre maggiori ricchezze. Più distanti sono le lingue, più potente si manifesta la magia: da qui la ricerca spasmodica di studenti provenienti da luoghi remoti. Il piccolo Robin viene salvato dall'epidemia di colera che ha sterminato la sua famiglia a Canton dal misterioso professor Lovell. Quest'ultimo diventerà il suo tutore e lo porterà con sé in Inghilterra affinché possa prepararsi ad entrare nel Royal Institute of Translation come madrelingua cinese. Lo prepara a una vita da privilegiato, con accesso al maggiore sapere del mondo all'interno della torre di Babel e soprattutto all'arte della lavorazione dell'argento. Potrà Robin, diviso tra Cina e Inghilterra, trovare il proprio posto nella società? Potrà gestire la verità sulle proprie origini e schierarsi quando l'Inghilterra si troverà a far scoppiare la prima guerra dell'oppio?


Babel
è un libro dai grandi temi, forse troppo grandi per il volume singolo che si propone di essere. Questi temi formano livelli di lettura che pian piano si fanno di respiro sempre più ampio, fino ad arrivare all'universale. Il primo livello è sicuramente quello circoscritto dell'Università, una sorte di luogo meraviglioso consacrato al sapere e che promette una vita di laute borse di studio e assegni di ricerca e di una vita passata tra le parole e la grandezza. Dove si disquisisce solo di traduzioni più o meno perfette, di filosofia, di grandi autori. Un mondo nel quale Robin vorrebbe disperatamente far parte e dimenticare di non appartenere a quel paese. Robin vorrebbe vivere solo di traduzione, notti in bianco a studiare con gli amici e ricerca linguistica. Babel è attrattiva, promette protezione, gioia, inclusività, al prezzo di permetterle di saccheggiare le parole e le culture di altri popoli. Appena oltre, però, la Rivoluzione Industriale dell'Argento, crea un profondo squilibrio sociale tra coloro che sono già ricchissimi e coloro che sono già poverissimi nella stessa Inghilterra: accentua il divario sociale e lascia indietro gli ultimi, licenziati a causa delle innovazioni tecnologiche che fanno a meno della manodopera umana e che mietono sempre più vittime tra coloro che non hanno né tutele né mezzi di sopravvivenza. Oltre ancora, il discorso si amplia al mondo intero: il problema vero è quest'Impero fagocitante che vuole sempre di più consolidare la sua egemonia, anche in paesi che provano a tenerli fuori dai propri territori, come la Cina, o che vogliono la propria libertà dall'essere colonie di schiavi. Le vittime diventano tutti coloro che non sono bianchi e la critica al colonialismo diventa quindi il tema più ampio del romanzo, che mette in luce tutti i massacri, tutte le devastazioni compiute dall'Inghilterra, ma anche dalle altre potenze europee per potersi assicurare benessere sulla pelle degli schiavi e ricchezze rubate ad altri popoli. A quel punto il romanzo pone in interessante quesito: cosa può un singolo cittadino contro il potere sterminato di un Impero?

Questo romanzo contiene quasi troppo. Da un lato, ho apprezzato molto lo sforzo di raccontare una critica alla storia reale dell'Europa dell'Ottocento all'interno di un romanzo fantastico, inserendo l'elemento dell'argento come metallo magico e soprattutto come metafora del potere. Credo che uno sforzo così sia stato non da poco e il risultato è sorprendente. La visione generale dell'autrice è senz'altro ammirevole. La critica che però devo muovere a Babel è di non essere sempre avvincente per tutta la sua durata e di essere a tratti un po' ridondante e pesante nei contenuti. I discorsi sul colonialismo, soprattutto nel finale, si ripetono e rendono il tutto molto lento e molto retorico, quando dopo 500 pagine il desiderio è solo quello di capire come si concluderà la vicenda. Molto belli i personaggi e la loro trasformazione all'interno della storia, soprattutto di Robin e dei suoi tre amici più stretti. Ho apprezzato molto l'ambientazione di Oxford, gli episodi anche minori che però servono a creare le basi su cui costruire tutta la critica sulla discriminazione, il razzismo sistemico, il male del capitalismo e del colonialismo. Sento che questo romanzo mi ha arricchita, nonostante il suo essere a tratti un po' tedioso. Soprattutto ho trovato prezioso il suo tentativo di trasmettere quanto alcune cose siano incomunicabili, non solo da una lingua all'altra, ma anche tra una persona e l'altra e che quindi l'unico modo per trovarsi, sia di accettare la versione degli altri come vera. Anche quando non siamo noi in prima persona a sperimentarla. 

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