Recensione di Gennaio

Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac, ovvero mai giudicare un libro dalla copertina

(Au bohneur des Ogres)


Avevo circa quindici anni quando questo libro mi fu regalato dai miei zii. Ad un primo impatto, la copertina con una gigantesca bocca rossa intenta a divorare un bambino - di cui si scorgono appena le gambe - non mi fece una buona impressione, anzi mi inquietava visceralmente, come se in quel libro ci fosse qualcosa di sbagliato.

Ci vollero circa tre anni prima che mi decidessi ad affrontarlo, senza un particolare desiderio, ma piuttosto come se volessi togliermi un sassolino dalla scarpa o una spina dalla mano. La prima cosa che ho pensato leggendo il primo capitolo è stato: "Oh mio Dio, che cosa sto leggendo?". Ho riletto quel capitolo altre due volte di fila prima di trovare la forza di andare avanti e di addentrarmi in quel mondo: sì, decisamente c'era qualcosa che non andava, ma io ormai non ne potevo più fare a meno.

Il romanzo è stato pubblicato nel 1985 in Francia da Daniel Pennac ed apre il cosiddetto "Ciclo di Malaussène", composto in tutto da sei libri. In tempi recenti (2013) ne hanno tratto l'omonimo film diretto da Nicolas Bary. Ammetto che nel film qualche porcata  inesattezza si può trovare, ma preferisco non parlare di questo e tornare a quel maledetto primo capitolo.

C'era già tutto: Benjamin, il protagonista, con quel suo lavoro assurdo da "capro espiatorio" - ebbene sì, viene pagato per prendersi la colpa degli oggetti guasti venduti dal Grande Magazzino e con la sua aria da disagiato fa in modo che i clienti non sporgano reclami; il caos che regna in tutti gli ambienti del libro, dove tutto sembra muoversi in modo casuale, confusionario, nella vana speranza che qualcosa prima o poi vada per il verso giusto; personaggi delineati con lo stile delle caricature, ma così intensi e vitali da vederti saltar fuori tra le file di lettere; e sempre quel qualcosa di sbagliato, profondamente deviato, che si sviluppa e si dipana per tutta la durata del romanzo. Dopotutto è un libro che parla di Orchi e già questo delinea un mondo perverso dove i bambini scompaiono e i vecchietti esplodono.

Qualche parola la merita la famiglia di Benjamin: un clan, dove ognuno ha il suo ruolo, ha quelle poche ma luminose caratteristiche che lo risaltano nel quadro della storia, lo rendono perfetto, vitale. In ognuno di loro c'è qualcosa di noi, per quanto strambi possano sembrare. E l'amore che li lega, il senso di responsabilità davanti a quel figli di nessuno è la forza che manda avanti tutta la storia, e che porta al finale, esattamente quel finale. E ciò ci insegna che non siamo mai soli - per quanto possa essere disperata la situazione - se sappiamo amare come ama Benjamin, senza giudizi, senza pretese, pronto a caricarsi il mondo sulle spalle con il suo talento unico di capro espiatorio.

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