Perché leggere i classici
Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, ovvero la costruzione dei simboli
(The Great Gatsby)
Durante il 2016, man mano che compravo libri, decisi che questo sarebbe stato l'anno dei grandi recuperi. C'erano parecchie mancanze nella mia libreria che avevo intenzione di colmare, tanti classici "importanti" che volevo leggere: per fare qualche esempio, Il giovane Holden di Salinger, Ulisse di Joyce o ancora Ivahnoe di Scott. Credo che ci siano libri che si debbano leggere prima o poi nella vita, soprattutto se si vuole lavorare con la letteratura come desidero farlo io. Quindi, ad inizio anno, uno dei libri classici più conosciuti che ho finalmente letto è stato Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald.

Sarò sincera, l'incipit di questo romanzo non mi è piaciuto subito. I primi capitoli mi sono sembrati sconnessi, deboli, poco immersivi. Le vicende di Tom Buchanan mi annoiavano, la confusione di Nick davanti alla vita newyorkese non mi trasmetteva nulla. E' da quando appare Gatsby, invece, che il tutto ingrana, perché questa figura attrae a sé tutta la vicenda e la dirige fino alla fine. Gatsby dà alla storia il suo senso e la dimensione straordinaria. E' l'elemento che rende questo breve pezzo di vita degno di essere raccontato. Ma al di là della trama o dei personaggi c'è un elemento che mi ha fatto capire il perché questo romanzo è stato innalzato nell'Olimpo dei classici: la costruzione dei simboli. Come non ero convinta all'inizio della lettura, quando l'ho terminata ho compreso la grandezza impareggiabile di questo libro, il senso che tutto acquisisce quando la storia arriva alla conclusione. Ho immaginato un cerchio perfetto, dove tutto si chiudeva, dove tutto rientrava perfettamente nel codice di significato che viene trasmesso. Il quadro è terminato, quello che ci troviamo rappresentato non può non colpire. Gli oggetti diventano davvero dei simboli: la luce della casa di Daisy che Gatsby vede dal suo pontile oppure gli occhi del dr. Eckleburg - la pubblicità di un oculista che si erge davanti alla casa dell'amante di Buchanan, davanti alla quale i personaggi passano con le auto. La ricchezza stessa, sia quella di Gatsby che quella di Buchanan, un mezzo per raggiungere i propri obiettivi e l'abbaglio che copre l'avvilente bassezza della realtà. Ogni personaggio è animato da una lotta con sé stesso e con gli altri, tra sogni e realtà. Vivono e si circondano di illusioni di felicità, mentre tutto quello che riescono a realizzare è semplicemente una clamorosa caduta.
Il romanzo si apre con Nick Carraway che spiega quanto lui ripudi giudicare le vite degli altri. Ma man mano che si prosegue con la storia, la delusione, la disillusione della voce narrante si fanno sempre più palesi nelle parole che scrive. C'è l'amaro di un sogno finito, di una vittoria dello status sociale ai danni dei sentimenti, della sincerità. E della felicità. Nessuno riesce a realizzare ciò che davvero vorrebbe, nemmeno i personaggi che sembrano uscirne meglio. Cosa resta allora di tutta quella bellezza, di tutto quello sfarzo? Il fallimento del sogno americano, il singolo che crolla sotto la pressione delle aspirazioni della società. Tentare di ricreare il passato dimenticando il presente è pericoloso e Gatsby ne paga le conseguenze. Forse è una tendenza troppo forte nell'uomo: inseguire la felicità che si è assaporata una volta, senza rendersi conto che è un'azione già condannata al fallimento. Perché quando tutto il mondo avanza, voltarsi indietro e tendere la mano a ciò che si è perso ci rende bersagli da travolgere. E per noi non c'è più possibilità di salvezza.
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